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Per una Pratica felice e duratura

Discorso tenuto da  di Thich Nhat Hanh a Plum Village, Upper Hamlet, 28 gennaio 2007

 Nella  pratica si incontrano svariate difficoltà, svariati ostacoli; l’importante è riuscire a conservare una mente di principiante intatta e questo ci dà una grande gioia. In ognuno di noi c’è la capacità di riconoscere ciò che è vero, bello, buono.

 Nella tradizione buddhista usiamo il termine “mente di principiante” [come dire “mentalità” o “stato mentale” da principiante]. La mente di principiante è una cosa splendida. La nostra pratica dovrebbe essere in grado di nutrirci e di conservare e proteggere la nostra mente di principiante. È un po’ come il primo amore: una cosa splendida, da proteggere e da alimentare.

Io ho ricevuto i voti di novizio all’età di 16 anni, e ne sono felice: mi sento benissimo a vivere in un Centro di Pratica, in un monastero. All’epoca non ci ho pensato su tanto: avevo la sensazione che fosse qualcosa di molto bello e molto buono. In genere si associa la bontà con la verità, la bellezza con la verità: soprattutto nella mente di un giovane, il bello dev’essere per forza anche vero, il buono dev’essere anche vero; dunque non ho fatto tante analisi, tanti ragionamenti, ho semplicemente sentito che c’era qualcosa di splendido e di buono nella scelta monastica e che era in quella direzione che volevo andare. In un certo senso è come innamorarsi, innamorarsi di ciò che è bello, buono e vero: quella sorta di amore è la mente di principiante. La mente di principiante è come una pianticella giovane che ha bisogno di buone condizioni per crescere e rafforzarsi: se accade che le condizioni non siano sufficienti, la mente di principiante va persa, ed è un peccato. Con questo non voglio dire che sul sentiero della pratica va sempre tutto bene, che tutto ci incoraggia e incoraggia in noi la mente di principiante. Di fatto sul sentiero della pratica ci sono molti ostacoli, svariati ostacoli che ci possono scoraggiare; se hai una mente di principiante forte, puoi superarli. Ogni volta che ne superi uno, in te la mente di principiante si rafforza; di fatto quindi gli ostacoli non ci ostacolano veramente ma anzi ci nutrono, ci aiutano a crescere e a rafforzarci. Sono come “acceleratori” della nostra saggezza e buona volontà. Non dovremmo temerli: dovremmo solo accertarci che la nostra mente di principiante non si indebolisca per via di una pratica insufficiente; dovremmo trovare tutti i mezzi, occasioni di ogni genere per sfruttare le opportunità in grado di rafforzare la mente di principiante che tutti abbiamo in noi stessi. Se siamo capaci di percorrere la via fino in fondo è grazie al fatto che abbiamo sempre in noi la mente di principiante

Nei miei 65 anni di pratica ho incontrato svariate difficoltà, svariati ostacoli; ma la mia mente di principiante è sempre rimasta intatta; ed è una grande gioia, per me, un’ottima cosa. In ognuno di noi c’è questa capacità di riconoscere ciò che è vero, bello, buono. Questo è un elemento positivo, in noi: è come un giardino in cui riconosciamo bei fiori e piante splendide che lo rendono bello . Siamo in grado di riconoscere ciò che è bello, buono e vero e facciamo il voto di vivere accanto a queste cose splendide. Formuliamo il desiderio di andare in quella direzione, di intraprendere quel sentiero, di restare tutta la vita con questo sentiero e questa direzione. È la nostra mente di principiante. Avete il dovere di proteggere, la vostra mente di principiante .

Nel giardino ci sono anche altre cose, oltre ai fiori e alle piante. La nostra persona è come un giardino: abbiamo la capacità di riconoscere ciò che è buono, vero, bello; abbiamo il desiderio di vivere secondo quegli standard, ma in noi ci sono anche elementi che non sono positivi. E dobbiamo prenderne consapevolezza. Mettiamo che viviate con una persona che apprezzate molto: una persona positiva, che ha in sé dei talenti, che è generosa, gentile. Voi avete la fortuna di vivere accanto a lei, sapete riconoscere in lei ciò che è bellissimo: è una vostra facoltà, saperlo riconoscere; eppure a volte non apprezzate la presenza di quella persona. A volte non fate tesoro della sua presenza; che le dite cose poco carine. In un certo senso tradite voi stessi. A volte volete stare soli, non avete alcuna voglia della sua presenza – eppure nel profondo, dentro di voi, sapete che se quella persona morisse o se ne andasse soffrireste moltissimo. È questo genere di aspetti negativi, che è presente dentro di noi. Dobbiamo semplicemente riconoscerli.

Ogni volta che apro il rubinetto pratico la presenza mentale. Mi rendo conto che l’acqua scorre attraverso le tubature e arriva fino a me: è un miracolo! Viene dal profondo della terra, oppure dalla cima delle montagne ed è arrivata fino al mio bagno.

Se siete consapevoli aprendo il rubinetto vi renderete conto che si verifica un miracolo, e darete alla presenza dell’acqua il suo giusto valore: vi farà piacere, ne sentirete la qualità rinfrescante, quella sensazione di freschezza sulle dita. La presenza mentale vi aiuterà a rendervi conto che ci sono zone della terra in cui l’acqua è scarsissima, e le famiglie debbono camminare tre o quattro chilometri per poter recuperare un secchio d’acqua per lavarsi, per cucinare.

Abbiamo la tendenza a dimenticare: in inglese la si chiama forgetfulness, ossiadimenticanza, oblio, distrazione. È il contrario della presenza mentale. a a a Se non ci fosse riconosceremmo la preziosità dell’acqua, non la sottovaluteremmo. La dimenticanza è l’altro lato della presenza mentale; abbiamo in noi entrambe, sia la presenza mentale che la distrazione. A volte la tendenza a dimenticare, la distrazione, prende il sopravvento e la presenza mentale rimane come in secondo piano; così perdiamo la felicità, perdiamo il benessere.

Siamo in grado di provare sentimenti di gratitudine, e quando li proviamo siamo felici. Alle volte ce ne dimentichiamo e smettiamo di essere grati, e ogni volta soffriamo, stiamo male. Questo sentimenti, questa tendenza all’ingratitudine, sono dentro di noi. Anche la gratitudine è anche parte di noi. Siamo fatti di conflitti, dunque, di elementi opposti; siamo fatti allo stesso tempo di fiori e di rifiuti. Perché siamo un giardino, e in un giardino ci dovrebbero essere sia il compost sia i fiori. Un bravo giardiniere dovrebbe saper “giocare” sulla presenza dei rifiuti e dei fiori, ed essere capace di trasformare di nuovo i rifiuti in fiori. Un bravo giardiniere sa che se non si prende cura del fiore ben presto questi si trasformerà in rifiuto; dunque dovrà stare attento, essere abile e saper “giocare” sulla natura dell’interessere fra i fiori e i rifiuti. Lo stesso deve fare il praticante. A volte siamo molto grati, a volte sembriamo ingrati; avete in voi entrambi questi aspetti, siete tutti e due questi aspetti.

Il primo libro che mi è stato dato da studiare da novizio si chiamava “Punti essenziali della pratica quotidiana del Vìnaya”. Il primo verso dice: «Svegliandomi la mattina sorrido. So di avere davanti a me 24 ore nuove di zecca, da vivere. Faccio voto di viverle in pienezza e di guardare gli altri esseri viventi con gli occhi della compassione». Nulla di teorico: in quanto novizio hai il dovere di imparare a memoria questi versi, in modo che appena sveglio tu abbia qualcosa da praticare. “Svegliandomi la mattina sorrido. Ho davanti 24 ore nuove di zecca, tutte a mia disposizione e faccio voto di viverle in pienezza e di guardare gli altri esseri viventi con gli occhi della compassione.”: anche se siete giovani, anche se avete solo 16 anni sapete che sono cose bellissime – sentite che è una cosa bella, una cosa buona. È questa l’essenza della presenza mentale, è in questi primi versi. Non c’è teologia, non c’è filosofia; si tratta di afferrare l’essenza, il nocciolo della pratica. Questi versi ci riescono. Nel libretto ce ne sono 50, e così nella vita quotidiana poi imparate a riconoscere le cose splendide che avete dentro, in modo da poter essere felici e in contatto con quanto di meraviglioso avete dentro.

 

«Imparare a guardare le persone con gli occhi della compassione» – che bello! Quando le guardate in questo modo le persone si sentono felici: le guardate con gli occhi della compassione e non con gli occhi della rabbia e questo rende felici sia loro che voi. È pura pratica, non c’è niente di teorico. E vedete che questo modo sano di vivere, che è un bel modo di vivere; vi rendete conto che è un modo di vivere buono. Il giovane che ero era molto attratto da quegli insegnamenti e da questa pratica.

Quando il novizio si alza la mattina, coi piedi cerca le pantofole [in Vietnam presumibilmente sandali, con cui poi camminerà per tutto il giorno]; ecco che c’era un’altra gatha per la ricerca dei sandali, da recitare mentre le cerca col piede. Diceva così: Dal primo attimo del mattino fino a sera tarda ogni essere vivente deve prendersi cura di se stesso. Se mi capiterà di calpestare qualcuno di voi coi questi sandali, mi spiace. Vi auguro di rinascere subito nella Terra Pura del Buddha. a  Dunque cercando i sandali recitate questi versi e fate voto di nutrire la vostra compassione per tutti gli esseri viventi, perché camminando potrebbe capitarvi di schiacciare coi vostri sandali qualche minuscolo essere vivente. a a a

 

Ecco, vedete, nella mia esperienza questa è una via molto concreta: all’inizio non vi insegnano la teoria, la teologia, non vi spiegano [in tono di elenco] che è il Buddha e perché si è manifestato, perché è comparso sulla Terra, da dove è venuto, cose del genere. Si limitano a insegnarvi “Svegliandomi la mattina sorrido. So di avere davanti a me 24 ore nuove di zecca, a disposizione per me “ e “Cercando i sandali coi piedi faccio voto di stare attento a non togliere la vita a esseri viventi per quanto piccoli”. Immaginate un giovane o una giovane che vivono secondo questo insegnamento. Consapevoli di attimo in attimo, che si muovono in giro con presenza mentale in modo aggraziato: sono splendidi a vedersi! La bellezza di un praticante è visibile nella sua pratica. Quel praticante sa bene di vivere una vita di bellezza, di bontà. Eppure, dopo un anno, due o tre, magari quello stesso giovane potrà allontanarsi dalla pratica, dal Sangha. Perché succede? Ma come? È capace di riconoscere ciò che è vero, bello, buono, eppure fa una cosa del genere? Ha vissuto nel Sangha, ha vissuto la pratica e poi se n’è andato, l’ha abbandonata? Questo succede perché abbiamo in noi l’altro lato, quello della dimenticanza, dell’oblio: fate una cosa, magari bellissima e che vi piace molto, ma poi a volte vi capita di stufarvi, di averne abbastanza e di avere voglia di cambiare.

È umano. Se c’è una pietanza che vi piace moltissimo e vostra madre la cucina per voi vi fa piacere; ma se continua a cucinarvela tutti i giorni, un bel giorno direte: “No no no, basta!” Ecco, noi non riusciamo a sopportare la monotonia, vogliamo cambiamenti. Anche se quella cosa è buona, vera, bella, si ha voglia di cambiare. E questo fa parte di noi stessi, occorre riconoscerlo.

 

La domanda è: come continuare, come andare avanti fino in fondo in qualcosa che avete riconosciuto essere buono, bello, vero? Certo, occorre un po’ di pazienza; però occorre anche qualcosa d’altro.

La via dovrebbe essere gioiosa. La via dovrebbe essere nutriente. La via dovrebbe portare guarigione. La via dovrebbe generare gioia e felicità, ed è per questo che dobbiamo organizzare e condurre la nostra vita quotidiana, la nostra pratica quotidiana, in modo da non ripetere sempre le stesse cose in maniera automatica. Dobbiamo renderci conto che ogni momento è un attimo nuovo. Parliamo di mangiare in presenza mentale per esempio: sappiamo che mangiare in presenza mentale è una cosa molto buona, ognuno di noi dovrebbe saperlo: si tratta di non lasciar vagabondare la mente mentre si mangia ma di riportarla al cibo, di focalizzare l’attenzione sul cibo. Intanto, di notare quant’è bello già il fatto di avere del cibo da mangiare, mentre milioni di persone soffrono la fame. Quant’è bello che tutto l’universo concorra a generare quel pezzetto di carota, quel pezzetto di tofu che abbiamo davanti, e provare gratitudine, e fare voto di vivere in modo da essere degni di questo cibo. Sono tutte cose bellissime. Ma se continuate a farle ogni giorno, arriverà il momento in cui sentirete il bisogno di fare questa cosa di nuovo – non so: «Facciamo sei contemplazioni [del cibo] invece di cinque» ; «Perché non mangiamo con le dita invece che con le posate?»; «Perché non facciamo un pic-nic invece di sederci nello Zendo nel Pranzo Formale?» Mi arrivano di continuo domande del genere. Anche se conosciamo che cos’è vero, che cos’è bello, abbiamo bisogno di cambiamento, di cose nuove. In quanto Maestro di Dharma mi sono sentito rivolgere molte domande del genere, molto spesso. Leggendo i Sutra ho scoperto che anche il Buddha aveva gli stessi problemi e che cercò di rinnovare la pratica presentandola perché poi la potessimo apprezzare sotto forme diverse. L’altro giorno ho suggerito ai miei studenti di cercare di mangiare “con la bocca del loro padre”. «Papà, mangiamo insieme questo cibo. Che effetto ti fa? Ti piace?»Ecco, noi possiamo mangiare con la bocca di nostro padre. È interessantissimo!

Nel libro di pratica Touching the Earth ho inserito una meditazione sulla guida dell’auto.[1] Guidando potete invitare il vostro bisnonno a guidare con voi. Oppure potete invitare addirittura il Buddha a guidare per voi. “Caro Buddha, per favore prendi il volante e guida tu” All’epoca del Buddha non c’erano automobili. In pratica, invece, in questo momento il Buddha sta guidando per voi. Cercate di sentire che effetto fa al Buddha il fatto di guidare. Come si sente il Buddha in un’automobile? Fra voi e il Buddha c’è un legame, una connessione, in un certo senso siete una continuazione del Buddha: avete intrapreso la sua pratica, il suo modo di vivere, dunque c’è una connessione fra voi; quindi ora potete guidare con le mani del Buddha, potete guardare il mondo con gli occhi del Buddha, e sentire che effetto fa. Vi fa stare benissimo. Ecco, questa è una nuova forma di pratica – eppure la pratica è sempre la stessa: la consapevolezza della guida.

È probabile che il vostro bisnonno non abbia avuto esperienze di guida: ecco, invitatelo a guidare la macchina con voi e state a sentire che sensazioni gli dà, che effetto gli fa guidare.

 

Per la meditazione seduta, per la meditazione camminata vale la stessa cosa. Dovete inventare nuovi modi di sedervi in meditazione in modo che vi porti sempre una sensazione di delizia, di piacere, di solidità e di pace. Sapete bene che il Buddha ha formulato sedici esercizi di consapevolezza del respiro; a Plum Village abbiamo elaborato l’insegnamento offrendo più di quaranta esercizi di consapevolezza del respiro; per esempio quell’esercizio che possono fare tutti “Inspirando godo la mia inspirazione. Espirando, godo la mia espirazione”. È una cosa facile da praticare: inspirate e all’improvviso prendete consapevolezza che state inspirando, che è meraviglioso essere vivi e inspirare. Inspirare diventa una cosa veramente piacevole. Vi sentite vivi, vi sentite pienamente in contatto col qui e ora. Potete entrare in contatto con gli elementi meravigliosi e portatori di guarigione che avete in voi, della vita, nel momento presente, qui e ora. Dunque inspirare può essere veramente piacevole e potete godervelo fino in fondo. E potete inventare centinaia di esercizi come questo, e l’essenza della pratica resterà comunque la stessa. Potete usare una gatha per praticare la meditazione camminata, potete dirvi “Sono arrivato, sono a casa nel qui e ora”; e questo vi farà riuscire bene nella pratica, perché la gatha vi aiuterà ad arrivare, a sentirvi a casa, solidi e liberi. A un certo punto però avrete bisogno di un’altra gatha, per cambiare, altrimenti la vostra pratica potrebbe diventare meccanica. Ed è per questo che ognuno di noi sa a memoria svariate gatha, e dopo averne adottata una per un po’ di tempo ne adotta un’altra. a a a L’idea è di non cadere vittima dell’ “erosione”, di non diventare meccanici, automatici nel nostro modo di praticare ma di praticare da veri esseri umani. Per realizzarla, ciò di cui abbiamo bisogno è di una pratica creativa. Se siete Maestri, dovete essere creativi e rinnovare l’insegnamento, così da poter insegnare a lungo senza annoiare; in quanto praticanti avete bisogno di essere creativi per poter sentire sempre la gioia, il nutrimento che vi dà la pratica. Quando dedicate a lungo il vostro tempo, la vostra energia per praticare la meditazione camminata, un giorno arriverete a fare ogni singolo passo in presenza mentale. All’inizio, a essere fatto in consapevolezza potrebbe essere il dieci per cento dei passi; ma se continuate con molta determinazione, un giorno scoprirete che il cento per cento dei vostri passi sarà consapevole, o lo sarà magari il novantanove per cento. Allo stesso tempo scoprite che la vostra pratica continua a essere di nutrimento; che vi dà gioia, vi porta guarigione, perché spontaneamente la rendete sempre nuova. a a a

In ognuno di noi c’è un monaco che ama praticare, a cui piace praticare per raggiungere l’illuminazione, per alimentare la bontà che ha dentro.

In ognuno di noi c’è un lottatore, che non vuole arrendersi, che vuole arrivare fino in fondo, che vuole vincere. In quanto praticanti dovete consentire che il lottatore che è in voi si manifesti e sia attivo. Non cadete vittima dell’automatismo, della meccanicità: si tratta di lottare per rendere nuova la pratica, per non consentire che diventi noiosa. Il monaco che è in voi dovrebbe andare di pari passo con il lottatore che è in voi.

In voi c’è anche l’artista. Permettete all’artista che è in voi di essere creativo. Perché dentro di voi non c’è solo il praticante, il monaco, c’è anche …[cerca a lungo la parola] il guerriero, insieme all’artista. Monaco, guerriero e artista non sono tre persone separate ma sono tre aspetti della stessa persona. Dovreste permettere a tutti e tre questi aspetti di essere presenti e di agire contemporaneamente, per trovare un equilibrio.

Posso dire di non essermi mai annoiato della meditazione camminata: quando cammino, ogni passo che faccio è un vero piacere. E non perché sono diligente, perché sono bravo, perché sono disciplinato, no: perché sono una persona creativa e quindi non lascio che la pratica diventi meccanica. Non lascio che diventi un automatismo, perché lascio che l’artista che è in me si manifesti e agisca e rendi la pratica sempre nuova e interessante e ricca di nutrimento. Perché ognuno di noi ha bisogno di essere nutrito e risanato, e la pratica è sempre interessante e ricca di nutrimento se sappiamo darci il tipo di pratica che è appropriata. La pratica è la stessa ma può cambiare nelle forme, può rinnovarsi nei modi di farla. Se vi guarderanno da fuori vi vedranno camminare come sempre, ma in realtà state praticando la meditazione camminata in maniera diversa; camminate come una persona nuova. Se vi guardano sedere in meditazione vi vedranno seduti come sempre, ma in realtà state sedendo in maniera diversa, nuova: vi state evolvendo.

Io ho imparato le Quattro Nobili Verità prima di diventare novizio, intorno ai quindici anni; eppure da allora l’insegnamento delle Quattro Nobili Verità dentro di me si è evoluto tutto il tempo, da allora. La mia comprensione delle Quattro Nobili Verità si è approfondita man mano. Non è perché vi fanno una lezione sulle Quattro Nobili Verità che da quel momento voi le conoscete bene: è perché continuate a praticarle e ad approfondirle che la vostra comprensione delle Quattro Nobili Verità si approfondisce sempre di più giorno per giorno, alla luce della vostra pratica. Questo vale anche per il Sutra del Cuore: se vi dò una spiegazione chiarissima del Sutra del Cuore e voi ne siete risvegliati e riuscite a comprendere tutti i vari significati che vi ho offerto nella spiegazione, ciò non significa che avete una perfetta comprensione del sutra. Quella sarà solo una base; se poi continuate a praticare la visione profonda del sutra nella vita quotidiana la vostra comprensione del sutra si approfondirà giorno per giorno. Quindi non potrete dire: “Le Quattro Nobili Verità? Ah sì, certo, le ho studiate, le so. L’Ottuplice Sentiero? Certo che lo conosco.” No, non funziona così! Non è così! L’altro giorno ho tenuto un discorso di Dharma in cui ho parlato dell’interessere delle Quattro Nobili Verità. Questo argomento non l’avevo mai trattato, per esempio, all’Istituto di Studi Buddhisti [in Vietnam], perché in me la comprensione dell’interessere delle Quattro Nobili Verità è nata più tardi, con lo studio e la pratica.

Da piccoli forse vi siete fatti un’idea, un concetto, una nozione del Buddha o di Dio; vi piace, lo adorate. Poi nel corso degli anni, studiando e praticando, quell’immagine, quella nozione del Buddha o di Dio cambia dentro di voi e attualmente è piuttosto diversa rispetto a quando eravate piccoli. L’altro giorno ho detto a un novizio che nella mia pratica mattutina del Toccare la Terra visualizzo sempre il Buddha come un anziano Maestro, che cammina a piedi nudi, vestito in modo molto semplice. Questo perché nei templi da noi il Buddha è presentato in maniera lussuosa, seduto molto in alto con meravigliosi ornamenti d’oro, vesti sontuose, le luci dietro: si resta impressionati e condizionati da quell’immagine e si pensa: “Ah ecco, questo è il Buddha.“Ma se poi si continua a praticare si scopre il Buddha come essere umano, esattamente come noi, e si può  entrare in contatto con quel Buddha come un insegnante, come un amico, come un Maestro che non aveva alcuna pretesa di grandezza. È bellissimo essere in contatto con quel tipo di Buddha. Con la nostra pratica, con il nostro apprendimento possiamo riuscirci. Se invece siamo vittime di un concetto di Buddha, se siamo vittime di un concetto di Dio, non possiamo entrare in contatto con il Buddha o con Dio.

A volte quando amiamo una persona ne abbiamo in testa un’idea, ed è quella che amiamo; oppure se odiamo una persona, in realtà noi non odiamo tanto quella persona quanto l’idea che abbiamo di quella persona. Ecco, è la stessa cosa.

In Cina è vissuto un saggio che si chiamava Kong Fu Tzu – in Occidente lo chiamiamo Confucio – che dopo essere stato ministro nel governo del suo Paese, a un certo punto ne ebbe abbastanza e diede le dimissioni. Andò vagando per molti Paesi per ascoltare insegnamenti e apprendere, infine tornò al suo Paese per insegnare; ebbe molti allievi, diventò un grande filosofo, un grande Maestro. Parlando della sua vita disse una cosa del genere: “A 30 anni ero in grado di reggermi sui miei piedi, ossia ero autonomo, non avevo più bisogno di appoggiarmia nessuno; all’età di 40 anni sono arrivato allo stadio di non avere più dubbi; quando sono arrivato ai 50 anni ho preso consapevolezza del mandato del Cielo.” Questo significa: ho preso conoscenza di quello che dovevo fare, di che cosa il Cielo desidera che io faccia, in questo tempo sulla Terra, qual è la mia missione. Quando pronunciò questo discorso Confucio doveva avere 65-70 anni. La frase finale è: “Da quando ho raggiunto i 60 anni ho cominciato a fare tutto quanto mi detta il cuore senzaviolare alcun precetto. a a a  È interessante, pensate [lo dice con tono divertito]: “ora a 60 e più posso fare tutto ciò che il mio cuore mi detta eppure non violo nessuna regola, nessun precetto” !

Sapete, fratello Phap Ho, “Pioggia del Dharma” pochi giorni dopo avere ricevuto l’ordinazione mi ha scritto una cosa bellissima: «Caro Thây, manterrò questi voti fin quando non ne avrò più nessun bisogno.» Ho capito che cosa intendeva: all’inizio i voti monastici sono qualcosa che viene in un certo senso imposto. Si prende l’impegno di seguire i precetti, di seguire la pratica: [in tono di elenco] dovete alzarvi alle cinque, andare in sala di meditazione, cucinare per il Sangha, andare in sala da pranzo, dovete osservare i precetti, seguire le attività del Sangha, le regole del Sangha. E sapete che questa è una cosa buona per voi. È come quando guidate, sulla strada: alla guida dovete per forza seguire il Codice della Strada, che serve a proteggere voi stessi e gli altri; vi rendete ben conto che se non ci fosse un insieme di regole ci sarebbero molti incidenti, dunque sapete che tutte queste regole, questi elementi di disciplina sono elementi di protezione per voi. All’inizio vi dite: “Non mi piace ma li seguo. Seguo i voti, i precetti. So che vanno bene per me, quindi farò del mio meglio per osservare i 10 o i 250 precetti dei monaci” – come sapete, se siete monaci dovete seguire la regola monastica; se siete praticanti laici dovete seguire i Cinque Addestramenti alla Consapevolezza o i Quattordici, perché sentite chiaramente fin dall’inizio che sono buoni per voi, quindi fate voto di sforzarvi di stare su quel sentiero, di percorrerlo. [2] E ci sono cose che vi piacerebbe fare ma che non potete fare, perché sono contrarie ai precetti, che non vi permettono di fare quella data cosa. Eppure quando arrivate a 60 anni, [con tono entusiastico] pensate, potete fare tutto quel che vi pare senza violare alcun precetto! È una grande realizzazione, questa. Non ci sono più precetti: quello è diventato il vostro modo di vivere, tutto qui;  se non li seguite non vi sentite a posto, non vi sentite a vostro agio. È come lavarsi i denti prima di andare a dormire: se non ve li lavate vi sentite a disagio, non vi sentite a posto. Quindi seguire i precetti a quel punto non diventa più un peso, una seccatura, ma entra a far parte di voi. All’inizio dovete alzarvi alle cinque, dovete sedervi nel pranzo formale, [sempre più col tono di un elenco noioso] e ascoltare la campana e tornare a voi stessi e inspirare, espirare – tutte quelle cose che sono state formulate per voi; sentite che vanno bene per voi ma limitano anche la vostra libertà personale; dunque vi sentite poco liberi. Naturalmente siete in grado di riconoscere ciò che è bello e buono per voi, dunque fate il voto di seguire quella via anche se ci sono delle forze che vi tirano in altre direzioni.

Dunque è possibile: fare tutto ciò che il vostro cuore desidera senza violare alcun precetto. Questa è una possibilità reale. Praticate in un modo per cui poi camminare in presenza mentale non sia più una pratica: non “praticate la meditazione camminata ” ma comunque ogni passo che fate di fatto è in presenza mentale. È il mio caso: io non “pratico la meditazione camminata”: semplicemente, quando cammino, cammino in quel modo; ma non la vedo come “una pratica”, non mi dico “sto praticando la meditazione camminata”: è così che cammino. Lo fate per perché vi piace – quindi quando vi si chiede: «Perché pratichi la meditazione camminata?» rispondete: «Perché mi piace. » Non [elenca] «Perché mi fa bene», «perché mi riporta al momento presente», «perché così non spreco la mia vita», «perché dimoro nel momento presente», «perché non rimango immerso nella distrazione», «perché non mi perdo nel passato e nel futuro», niente di tutto questo: «Perché mi piace».

 


[1]Thich Nhat Hanh, Toccare la Terra – conversazioni intime col Buddha: edizione italiana in preparazione presso l’ Associazione Essere Pace.

[2] I Cinque Addestramenti sono la riformulazione dei tradizionali Cinque Precetti del Buddhismo: rispetto per la vita, rispetto per la proprietà e per il lavoro, retta condotta sessuale, retta parola e astensione dalle sostanze inebrianti. I Quattordici Addestramenti sono le linee-guida su cui si fonda l’Ordine dell’Interessere, comunità fondata dall’A.nei suoi due rami monastico e laico, attivo in tutto il nella cura del sangha e nella trasmissione della pratica e degli insegnamenti della Scuola di Plum Village.