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L’esempio di Ambedkar

Dalla rivista “Dharma” no.1, pg.88-91, Ottobre 1999


a cura di Maria Angela Falà
Proponiamo gli ultimi appunti scritti da Vincenzo Piga per commentare il libro di Mary Tbengavila Ambedkar e il neobuddhismo (ed. Mediterranee, Roma, 1998, L.28.000), tratto da una tesi di laurea, che aveva partecipato alcuni anni fa al concorso per tesi sul buddhismo indetto annualmente dalla Fondazione Maitreya. Bhrimrao Ramji Ambedkar è stata una figura di primo piano nella lotta · per l'indipendenza dell'India e in seguito per l'emancipazione degli intoccabili. I temi di riscatto sociale e di impegno politico da lui testimoniati sono sempre stati a cuore a Vincenzo e siamo lieti di offrirvi queste sue riflessioni sul libro recentemente pubblicato.
I lettori di questo libro ne ricaveranno due benefici: la conoscenza ampia e documentata di un evento politico religioso che si realizzò in India nei decenni della prima metà del secolo e inoltre la conferma particolarmente persuasiva che – contrariamente all’opinione di tanta cultura occidentale e alla prassi di tanti praticanti del Dharma all’ovest e all’est – l’insegnamento del Buddha ha avuto e continua ad avere non solo un’influenza profondamente riformatrice della religiosità tradizionale, ma anche un impatto che non sembra esagerato definire ‘rivoluzionario’ nella realtà sociale dei paesi in cui si è andato divulgando.
Questo secondo aspetto non è privo di importanza, se si ricorda che ancora solo pochi anni fa Papa Wojtyla, tanto benemerito come annunciatore e promotore del dialogo interreligioso, poteva tranquillamente ribadire (nel suo libro intervista Varcare la soglia della speranza) che il buddhismo vive fuori della storia e induce a “uno stato di perfetta indifferenza nei riguardi del mondo” · (Mondadori ed. Milano 1994, p.96) Sono pregiudizi che ancora resistono nonostante gli insegnamenti che ogni persona obiettiva può ricevere da una storia ultramillenaria che attesta il contrario, dai tempi dell’imperatore Ashoka (270-230), esempio luminoso che dimostra a quale livello politico possa operare un capo di stato che tragga esperienza dagli insegnamenti del Buddha, fino alle tragedie dei tempi nostri che hanno visto in prima fila il monachesimo buddhista Vietnam, in Cina, in Corea, in Tibet, in Birmania ecc. a lottare fino al sacrificio della vita per l’indipendenza del proprio paese, contro le dittature militari e i totalitarismi ideologici: per la libertà, la democrazia e la pace, che non sono certo ideali estranei all’evoluzione della storia.

Bhimrao Ramji Ambedkar (डॉ.भीमराव रामजी आंबेडकर, conosciuto anche come Babasaheb) (Mhow Cantonment, 14 aprile 1891 – Delhi, 6 dicembre 1956)

Non meraviglia peraltro che anche ai vertici delle istituzioni religiose nella nostra epoca, particolarmente impegnate, soprattutto con la scienza e la tecnologia a conoscere e interpretare il mondo esterno possa apparire inesorabilmente introversa un’esistenza che si occupa non solo ma prima di tutto del mondo interiore.
Gli eventi vissuti da Bhimrao Ramji Ambedkar, indiano ‘intoccabile’, 1891- 1956, come Mary Thengavila ci documenta con molta diligenza, hanno trovato proprio nel buddhismo la motivazione, l’impulso necessario per fargli raggiungere i risultati che si proponeva. Questo non vuol dire che il cosiddetto “neobuddhismo” abbia avuto una funzione meramente strumentale al servizio della lotta politica per l’emancipazione dei fuori casta.
Al contrario, ha dovuto sperimentare l’insufficienza dell’induismo, che inquadrava i cittadini in caste tuttora con forti elementi di incomunicabilità e persino la parzialità del progetto politico di Gandhi, cui peraltro Ambedkar è stato legato da una stretta collaborazione, incondizionata per quanto riguardava la lotta anti-colonialista, ma carica di riserve perché il Mahatma rimaneva comunque convinto che la divisione in caste rimanesse necessaria. Solo queste esperienze, parzialmente negative, avrebbero convinto Ambedkar che il riscatto autentico degli intoccabili poteva derivare soltanto dal rifiuto dell’induismo e dall’adesione al buddhismo, inteso come programma sociale “rivoluzionario” capace quindi di dotare l’azione politico-sociale dell’energia culturale e spirituale necessaria per raggiungere obiettivi irreversibili. L’autrice ci conduce a scoprire la condizione umana o subumana in cui la società indiana, nonostante la sua apparente democrazia, faccia vivere tanta parte della sua popolazione, condannata all’emarginazione e alla persecuzione perché sopraffatta e vinta millenni orsono dagli invasori ariani.
Questa condizione ci è presentata nel contesto delle sue diverse manifestazioni contribuendo così a farci comprendere la grandezza del progetto di Ambedkar per l’emancipazione degli “intoccabili“: una grandezza che giunse fino allo scontro, come abbiamo accennato, con il protagonista dell’indipendenza indiana il Mahatma Gandhi convinto che bastassero alcune misure sociali per risolvere il loro problema, mentre per Ambedkar era necessario realizzare la loro emancipazione salvaguardando tutte le specificità in quanto minoranza. Va dato atto alla Thengavila di offrire con questo libro – oltre a una accurata documentazione sui difficili rapporti tra Ambedkar e Gandhi quale sintomatica conferma di quanto fosse voluto e determinato il progetto politico del grande amico degli “intoccabili” – anche una illustrazione ancora più accurata ed esauriente delle vicende religiose che hanno accompagnato e talora persino condizionato il proposito di emancipazione di Ambedkar.
Le ultime settanta pagine sono tutte dedicate a questo tema: alla consapevolezza che il mondo induista, al di là di tanti proclami, non avrebbe mai potuto far proprie senza riserve le rivendicazioni degli intoccabili, perché era – ed è in larga parte tuttora – condizionato dalla tradizionale concezione di una società articolata in caste chiuse. Ed ecco allora i sempre più difficili rapporti tra Ambedkar e l’induismo soprattutto con la casta brahminica e il suo tentativo infaticabile quanto raro di introdurre elementi riformatori nella tradizionale religione indiana e finalmente la sua rottura con questa e la sua convinta adesione al buddhismo nel 1956, che avrebbe prodotto la prima adesione di massa di quasi 400 mila intoccabili, che ripudiarono la vecchia religione per aderire all’insegnamento del Buddha. Non si è tratta di una scelta improvvisata ma della naturale conclusione di un’esperienza spirituale che aveva portato Ambedkar a riconoscere fin dalla giovinezza l’inadeguatezza dell’induismo nel proporsi come fattore di progresso sociale e democratico e invece la potenzialità del buddhismo a operare addirittura con un impeto “rivoluzionario” per l’emancipazione di tutti e tra questi in primo luogo per le donne, nella profonda convinzione che la società deve realizzare l’eguaglianza.
La parte più interessante del libro della Thengavila ci sembra quella dedicata alla convinzione di Ambedkar che, per meglio assolvere alla sua funzione di “rivoluzione sociale”, il buddhismo stesso aveva bisogno di purificarsi, di tornare alle origini, agli insegnamenti del Buddha, liberandosi della zavorra accumulatasi nei secoli, quando, da movimento spirituale tutto basato nel protagonismo dei praticanti, è diventato una chiesa con le sue gerarchie, i suoi interessi mondani e con l’annacquamento della dottrina. Il neo buddhismo di Ambedkar si è proposto subito come movimento riformatore dello stesso Dharma per collegarsi con l’insegnamento diretto del Buddha, con il buddhismo originario, esaltando i suoi valOri “umanistici” per i quali l’essere umano occupa la posizione centrale rispetto a ogni altra realtà fisica e metafisica.
Ambedkar espresse le sue idee in un’opera di ampio respiro, The Buddha and His Dhamma, pubblicata postuma nel 1957. Il libro della Thengavila è frutto di una ricerca appassionata e impegnativa che permette di valutare tutta l’importanza religiosa, politica e sociale del movimento promosso da Ambedkar, che ha già conseguito positivi risultati nel miglioramento della condizione degli intoccabili e nella riforma della religiosità indiana con la crescente presenza in essa di un neobuddhismo, forse discutibile per qualche aspetto marginale, ma indubbiamente di grande significato nelle sue caratteristiche sociali e laiche, che ne attualizzano la funzione nel mondo contemporaneo, non solo in Oriente.
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VINCENZO PIGA PRESENZA E MEMORIA

le voci di coloro che hanno conosciuto direttamente vincenzo in questi ultimi anni ci offrono un ritratto che delinea da più prospettive la sua figura di uomo, di praticante e il suo ruolo nel buddhismo italiano.

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