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Sesso e comunità

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di Manu Bazzano

Il terzo precetto indica la necessità per un praticante di seguire un comportamento sessuale corretto e si è sempre confrontato con le interpretazione legate ai valori dei luoghi e delle epoche, ed oggi?

Adesso che la vita spirituale è nelle mani dei laici invece che dei monastici, le esigenze del desiderio sono in primo piano e non più nascoste (Mark Epstein).

Uno dei luoghi migliori per individuare il narcisismo è purtroppo al vertice di una

 compagnia o organizzazione pubblica (Bruce Gregory).

L’impegno personale volontario noto come il terzo precetto buddhista afferma: “Mi impegno ad astenermi da una condotta sessuale sbagliata” (Kāmesu-micchācāra veramanī sikkhāpadam samādiyāmi). Il buddhismo classico si è limitato a una spiegazione delle circostanze che rendono permissibile la relazione sessuale, sottolineando il principio di ahiṃsā (non nuocere), cioè evitare di fare del male al proprio partner o a terzi. Ogni saṅgha buddhista ha dovuto perciò interpretare tale precetto in accordo con i valori di epoche diverse. Ciò spiega in parte come mai è pressoché impossibile decidere una volta per tutte che cosa costituisca esattamente una condotta sessuale sbagliata.

Allo stesso tempo, l’intera questione è inequivocabile: per Robert Aitken Roshi si tratta della pretesa menzogneradi dare quando in realtà si prende. Ci sono molti altri modi, secondo Aitken, di fare cattivo uso della sessualità e che  vanno aldilà dell’atto sessuale stesso: “Una relazione che comporta dominio, sfruttamento, e aggressione passiva costituisce anch’essa violazione di questo precetto. [E lo stesso vale per] l’impulso di voler distruggere l’altra persona…”. La condotta sessuale sbagliata non si limita a violare  il celibato o ad avere relazioni sessuali al di fuori del matrimonio, ma si estende necessariamente allo stupro nel matrimonio, all’incesto nella famiglia, alla pornografia misogina che crea, nell’espressione di Winton Higgins, “un ambiente ostile e pericoloso per le donne e induce stati mentali idioti … comprese le illusioni sulla natura femminile e su ciò che le donne desiderino”. Dobbiamo altresì estendere il precetto della condotta sessuale sbagliata all’intolleranza e al pregiudizio contro i gay, le lesbiche e le minoranze sessuali. Se si accetta tale idea, allora si  riconoscerà che molta condotta sessuale sbagliata ha luogo proprio nel nome delle religioni integraliste.

Il buddhismo è una tradizione etica non-integralista che diventa viva nella sua relazione con il mondo. Le trappole convenzionali della religione sono del tutto assenti nel buddhismo: non vi sono manipolazioni sociali e ingiunzioni alla procreazione con il pregiudizio nei confronti del sesso non-procreativo. Sebbene non paragonabile al livello o al tipo di abusi perpetrati dal clero cattolico, gli “scandali sessuali” sono oramai abituali e perfino prevedibili nelle comunità buddhiste. In risposta, tendiamo verso due tipi di reazione:  assumiamo o la visione ortodossa, o quella permissiva. Ma né diniego né condanna si sono dimostrati utili. Entrambi i punti di vista non riconoscono appieno il più vasto contesto; entrambi sminuiscono il ruolo centrale del potere; entrambi sottolineano, per via di spiegazioni contrastanti, la componente sessuale ed eludono, o non riescono a chiarire, l’elemento della condotta sbagliata.

Fare i conti con la realtà

La storia dei saṅgha occidentali è stata punteggiata da “scandali sessuali” che periodicamente coinvolgono l’abuso di potere e l’uso sbagliato del sesso da parte di insegnanti buddhisti. Anche qui, l’enfasi sembra essere per lo più sul sesso invece che sull’abuso di potere, il che è comprensibile data la natura etica e religiosa delle comunità buddhiste. Mi chiedo anche se ciò abbia a che fare con due fattori importanti:

1)        La natura gerarchica della maggior parte dei saṅgha, dove lo squilibrio di potere impedisce un incontro veramente orizzontale (la base stessa dell’etica), e genera invece la proliferazione di fantasie e proiezioni verticali verso l’insegnante e il maestro.

2)        L’assenza di una struttura di sostegno, consiglio e feedback a disposizione sia dell’insegnante/maestro che dell’allievo.

Una paziente si innamorò di Freud nel corso dell’analisi e lui osservò ironicamente che ciò non era dovuto al suo fascino irresistibile di uomo ma era da attribuirsi invece all’intimità dell’incontro terapeutico. Nella psicoterapia sentimenti, fantasie e proiezioni che un paziente dirige verso il terapeuta vengono esplorati e a volte contribuiscono alla guarigione. È ugualmente importante a sua volta che il terapeuta riconosca i sentimenti che egli prova verso una paziente. Ma quest’ultimi non sono necessariamente espressi e tanto meno agiti, ma discussi ed esplorati con un supervisore. Una rete di sostegno, consiglio e feedback è disponibile al terapeuta, fornendogli ampie opportunità di sondare la realtà. Ciò aiuta il praticante a rimanere con i piedi per terra nella pratica, invece che rimanere incantato dalla visone illusoria della sua propria strabiliante e affascinante personalità.

La psicoterapia ha viaggiato per stadi diversi in risposta ai cambiamenti sociali, e lo stesso deve accadere al buddhismo se esso vuole rimanere attuale. Certo, il cambiamento non è mai indolore; per il terapeuta ha significato abbandonare la pretesa di saper discernere la realtà dalle distorsioni e accettare il fatto che le proprie percezioni non sono necessariamente più accurate di quelle del paziente.

Quali sono le possibilità reali che un maestro buddhista che ha raggiunto il rango più alto ed è considerato dai suoi discepoli un “essere realizzato” sia soggetto a un simile sondaggio della realtà? Scienziati, artisti o operatori nel campo della salute mentale naturalmente e volontariamente sottopongono il loro operato allo scrutinio dei propri colleghi che valutano, discutono riconoscono o criticano costruttivamente il contributo. Nella sfera della pratica spirituale e dei saṅgha buddhisti invece sembra che vengano usati criteri diversi; tali criteri sono forse il residuo di una comprensione feudale e pre-moderna dell’organizzazione di comunità, laddove il capo spirituale è signore e proprietario ed esige la sottomissione e l’obbedienza dei sudditi.

Stephen Batchelor è stato un pioniere di questa tesi all’interno del discorso buddhista ― uno scrittore e un insegnante che ha criticato con intelligenza sia l’aspetto gerarchico e istituzionale di alcuni manifestazioni del buddhismo così come pretese teistiche e trascendentali. Tale critica è vitale per lo sviluppo creativo del buddhismo in Occidente, e va esteso a quelle aree rispetto alle quali ci si sente normalmente un tantino schizzinosi, quali, per l’appunto, il sesso. Per quel che mi riguarda, mi sento abbastanza ottimista per due ragioni: prima di tutto, coinvolto in diversi saṅgha formali e informali per più di trent’anni, ho riscontrato cambiamenti e fatto esperienza di una sincerità, impegno e volontà di affrontare ogni nuova sfida. Mi sento poi incoraggiato dall’intuito di diversi insegnanti e scrittori buddhisti quali Epstein, Welwood, e Batchelor, per citarne solo alcuni ― scrittori che hanno seminato una comprensione compassionevole del desiderio, delle relazioni e degli ostacoli sul sentiero.

L’arroganza e il pudore

Se non motivato da mero disagio puritano verso il sesso, in che modo allora il fatto che un insegnante fa l’amore con le sue allieve (o allievi) costituisce condotta sessuale sbagliata? Anzitutto è abuso di potere; poi è un discredito della stessa pratica buddhista, così come una violazione dell’autorità clericale e della fiducia. Credo anche che la condotta sbagliata in questo caso abbia a che fare con la contravvenzione del pudore. Il pudore non va confuso con la vergogna, ma va visto come riconoscimento reciproco della sempre presente imprevedibilità e incertezza dell’incontro umano; è la risposta istintiva di persone sensibili, dettata dal decoro. Sono le persone sensibili a cadere sotto l’incantesimo del pudore, mentre gli insensibili sono preda dell’arroganza, dello spadroneggiare disinvolto di chi sfrutta la situazione per il proprio vantaggio celando la fondamentale incapacità di gestire le proprie pulsioni dietro lo scudo di una “crazy wisdom”. La persona troppo sicura di sé che in una posizione di potere adesca l’allievo/a e ne sfrutta l’innocenza non è tanto colpevole di essere “sessuale”, ma di essere arrogante e insensibile.  C’è un paradosso evidente: nell’eludere il pudore, la persona arrogante non è in grado di fare esperienza di ciò che Mark Epstein chiama apertura al desiderio. Poiché il corteggiamento e l’anelito vengono aggirati, un incontro sessuale di questo tipo non appartiene propriamente all’erotismo ma alla gratificazione narcisista. È ovviamente ingenuo affermare un’interpretazione a senso unico; l’allieva avrà anch’essa i suoi disegni di manipolazione. Andare a letto con un insegnante è una scorciatoia verso un falso senso di realizzazione spirituale e l’elusione dei requisiti più rigorosi richiesti dalla pratica.

Vi sono poi paralleli suggestivi fra il comportamento di alcuni maestri spirituali e la leadership narcisista, documentata da alcuni ricerche, nell’ambito della sfera sociale più vasta, in particolare aziende e grandi compagnie d’affari. Una comunità buddhista nella quale il culto della personalità ha rimpiazzato la pratica condivisa del Dharma è destinato a smarrire la direzione, così come la sostenibilità di un’azienda viene sabotata da un leader narcisista le cui difese riflettono una paura fondamentale di affrontare la realtà. In entrambi i casi l’intera struttura organizzativa continua ad esistere non più per gli obiettivi prefissati ma allo scopo di mantenere in vita la vanità e il senso di privilegio del capo. Alcuni insegnanti spirituali sono carismatici, ma il carisma è “un dono come l’ipnosi”, come dice Leonard Cohen in un’intervista, e non dimostra necessariamente “alcuna sollecitudine per gli altri né maturità d’animo. Rappresenta l’esercizio di una dote, di solito usata per scopi egoistici”.

Anti-sessismo o anti-sesso?

Ci sono altresì similarità interessanti fra la condotta sessuale sbagliata nei saṅgha buddhisti e il problema delle molestie sessuali nella società. La seconda generazione di femministe negli Anni Settanta si è giustamente opposta alle molestie sessuali: la loro fu una posizione politica, centrata sui diritti umani e gli abusi di potere, affrontando coraggiosamente il cattivo uso dell’autorità di solito messo in atto da un maschio insegnante/datore di lavoro nei confronti di una impiegata/allieva più giovane. Fin dall’inizio, la lotta contro le molestie sessuali fu centrata sulle molestie invece che sulla sfera sessuale. Casi di molestia e discriminazione sessuale sono stati condannati a causa delle molestie e della discriminazione. All’inizio del  ventunesimo secolo sembrerebbe che le attitudini siano mutate: nelle società permissive e liberalizzate dell’Occidente, la lotta contro le molestie sessuali è diventata paradossalmente ostilità contro il sesso. È sconcertante notare come la critica al sessismo, annunciata dal femminismo, si sia ora tramutata in denigrazione del sesso. Dall’inizio, il femminismo ha sfidato la separazione fra la sfera personale e quella professionale, ma l’enfasi corrente sulla creazione di confini e nette demarcazioni  effettivamente separa il nesso fra le due dimensioni. A venire vilificata nel clima culturale presente è, per l’appunto, la sessualità.

Paura della dimensione sessuale in pedagogia cancella la dimensione personale, e una cultura che collettivamente tenta di evitare l’erotismo trascura anche la nostra presenza corporea (embodied) nel mondo. Una delle caratteristiche di Eros è l’ambivalenza, e ciò spiega in parte la confusione diffusa in materia erotica e sessuale. Riconoscere la natura ambigua e insoddisfacente del desiderio sessuale è un’attitudine, credo, più matura se paragonata agli eccessi denigratori di molte immagini religiose. Il monaco cristiano del dodicesimo secolo, Odone da Cluny, nel tentativo di suscitare la ripugnanza dei fedeli, dichiarò che abbracciare una donna equivale ad abbracciare un cumulo di spazzatura.

Un’attitudine più comprensiva e compassionevole verso il sesso riconosce invece come nel sesso si possa rimanere bloccati, ostacolati dalla smania come un bambino che tuffa le mani in un barattolo di miele. In questo caso non si tratta di condanna puritana del sesso, ma uno sforzo di vivere in modo più libero nel mondo. Gli insegnamenti del Buddha non sono dettati dalla condanna ascetica né dalla denigrazione della nostra condizione intrinsecamente imperfetta, ma indicano un percorso verso una maggiore libertà dagli ostacoli e dalle costrizioni che ci tengono imprigionati.

Bibliografia

Aitken, R. (1997) The Practice of Perfection Counterpoint: Washington D.C.

Brusq, A. (1997), Mount Baldy IMDb DVD

Batchelor, S. (2004) Living with the Devil: a Meditation on Good and Evil Riverhead: New York

Epstein, M. (2004) Open to Desire: Embracing a Lust for Life Insights from Buddhism and Psychotherapy. New York: Gotham

Gregory,B.The Impact of Narcissism on Leadership and Sustainability http://ceres.ca.gov/tcsf/pathways/chapter12.html

Higgins, W. Buddhist Sexual Ethics http://www.buddhanet.net/winton_s.htm

Welwood, J. (2006) Perfect Love, Imperfect Relationships Boston/London: Trumpeter