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Editoriale DHARMA 30 – Catena di trasmissione

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In questi giorni ricorre il decimo anniversario della scomparsa di Vincenzo Piga, uno dei
pionieri del buddhismo nel nostro paese. Non sono certa di
quante persone lo ricordino, di quanti tra i nostri lettori lo abbiano conosciuto. Il tempo stende un velo su ciò che è stato e questo velo ci fa dimenticare, rende sfuocate in lontananza le vite di chi non c’è più. In ogni caso noi siamo eredi del passato e come tali nel mondo buddhista
siamo anche un po’ eredi dell’opera di Vincenzo, dei suoi lati positivi e dei suoi lati difficili.
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La nascita delle istituzioni buddhiste italiane, e con questo parlo della nostra Fondazione
Maitreya, editrice di Dharma e dell’Unione Buddhista
Italiana, come anche di altri centri sia di tradizione tibetana
che theravada o zen, è stata fortemente voluta da questo uomo, che con caparbietà si
è sempre battuto affinché le sue idee potessero concretizzarsi,
anche con compromessi e ripensamenti, ma sempre con in
mente il progetto di creare un buddhismo vivo per la società
occidentale.
Vincenzo credeva fermamente nelle istituzioni che univano le
diversità e per questo, anche nel mondo buddhista, un mondo
che di istituzioni a dire il vero ha spesso desiderato farne a meno,
ha voluto crearne alcune sullo spirito dell’Unione Europea
in cui aveva lavorato per decenni.
Vivendo in Occidente, però, queste si sono dimostrate
necessarie per poter acquisire quello spazio ufficiale per chiedere
il rispetto di quei diritti che devono essere propri di tutti e di
tutte le religioni.
Con Vincenzo abbiamo lavorato per avere spazio, per avere riconoscimento,
per avere l’intesa con lo Stato, fermata per due volte e che speriamo ben presto
si concretizzi in una legge reale, per cittadini reali, in un’Italia
percorsa da tanti segnali contrari a tutto ciò che esula dalla cosiddetta
“normalità” dell’omologazione.
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Chi ha tenuto il filo di questa impresa dipanandolo per oltre venti anni è stato Vincenzo.
Ricordarlo per chi lo ha conosciuto o per chi non sa chi
sia stato, è naturale. A Vincenzo non importava che si sapesse ciò
che aveva fatto, molte delle azioni da lui compiute, dei doni offerti,
delle sue attività sono rimasti sotto silenzio. Non è stato un uomo facile con cui trattare
e per chi gli era vicino lavorare con lui era una continua sfida
per fargli accettare le idee diverse dalle sue, per cercare di comprenderlo
quando andava troppo lontano rispetto allo stato
delle cose in quei tempi. Ma c’è bisogno di uomini visionari, che
sappiano andare al di là del contingente e aspirare ad andare oltre.
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Vincenzo è stato un anello della catena di tutti coloro che hanno permesso la trasmissione
del Dharma dal tempo che ci separa dalla predicazione del Buddha fino ad oggi.
Rispettiamo l’eredità di questa moltitudine di uomini e donne, monaci e monache, laici e laiche,
facciamola nostra e rendiamola viva, cercando di proseguire il cammino di chi ha
visto nel buddhismo una ricchezza da offrire a tutti, una ricchezza spirituale profonda
che può parlare al cuore di tutti gli uomini, buddhisti, credenti
di altre religioni o non credenti, e far crescere in noi
sentimenti di rispetto, amore, attenzione agli altri e al mondo
su cui fondare una società che a buon diritto possa definirsi a
misura d’uomo .