08 Ago Dialogo e sfide nel terzo millennio – L’uomo e la sua dignità nella tradizione del Buddha
di Maria Angela Falà
Nel rapido svolgersi degli eventi sempre più evidente è oggi l’importanza dell’apporto che le religioni possono offrire nella comprensione degli scenari complessi con cui siamo confrontati, che hanno perso confini precisi e in cui i livelli di contrapposizione e differenziazione si sovrappongono per fattori storici e politici sulla spinta delle nuove migrazioni, degli interessi economici dei paesi emergenti, di vecchi e nuovi conflitti, sostenuti e talvolta amplificati dai mezzi di comunicazione e dall’anarchia comunicativa dei social network, impensabile solo dieci anni fa. L’analisi di situazioni di crisi presenti in diversi angoli del globo mostra chiaramente come le religioni entrino in gioco e svolgano un ruolo rinnovato non solo in campo etico, ma anche sociale e politico, rapporto complesso, talvolta connotato da problematiche e conflittualità.
Spinte dalla globalizzazione, le religioni devono confrontarsi con il loro ruolo storico di portatrici di valori di fronte ai nuovi scenari che li mettono in discussione, restando attente a non cadere nelle trappole delle dilaganti forme di esclusione e chiusura, sostenute dalle crisi economiche, dai processi di identificazione etnico-religiosa a cui offre sostegno la rapida trasformazione dei mezzi di comunicazione e dal loro uso indiscriminato, anche in funzione dirompente e propagandistica.
Oggi le complesse realtà multiculturali e multireligiose presenti ci sfidano ad elaborare nuovi paradigmi basati sul dialogo e l’ascolto reciproco e soprattutto sul rispetto più alto della dignità di ogni uomo, che trova espressione concreta nei suoi diritti fondamentali, come indicato anche dal Santo Padre Francesco nella sua Dignitatis Humanae. In tal senso è di vitale importanza rivisitare le fonti dottrinali delle fedi alla luce dei problemi etici proposti dalla società e mettersi a confronto con l’altro, superando la tendenza a trovare, nell’attaccamento alle forme storiche, un’ortodossia rassicurante da non mettere in discussione. Il nostro tempo ci interpella con le sue urgenze a cui va data risposta.
La questione dei diritti dell’uomo e del loro rapporto con le religioni è tipica della modernità. Il concetto di diritti umani è stato infatti elaborato dalle società moderne a partire dal XVIII secolo, mentre le credenze religiose appartengono alla società tradizionale. D’altra parte gli attivisti religiosi conservatori, con i loro valori dogmatici, spesso causano la violazione dei diritti umani fondamentali nella loro società, perché sono intolleranti rispetto al pluralismo religioso e culturale, figlio della storia dell’ultimo secolo.
I fondatori delle antiche religioni e i loro seguaci non avevano il concetto dei diritti così come li intendiamo oggi, essi avevano piuttosto un’etica dei doveri o delle responsabilità, di cui dovevano tener conto nei riguardi del rapporto con l’Assoluto e nei confronti dei loro simili. La cultura moderna ha invece posto al centro della sua riflessione l’uomo singolo come valore fondamentale: i diritti esprimono questa centralità antropologica, affermando che ogni essere umano merita rispetto e dignità.
Molti buddhisti colti sarebbero pronti ad affermare che il buddhismo contiene un profondo concetto dei diritti umani spesso ignorato dall’Occidente. Tuttavia, molti attivisti dei diritti umani e antropologi sociali dissentirebbero, poiché percepiscono la distanza tra il precetto, così com’è prescritto nel canone buddhista, e le pratiche in vigore in società di cultura buddhista.
L’etica è essenziale della pratica buddista verso la liberazione spirituale. Il codice morale buddista è suddiviso in dieci principi di educazione morale, spesso citati nel canone buddista, che vengono anche definiti come la retta condotta, le virtù di una persona nobile e civile, o le qualità del uomo buono (kusala-kamma-patha). Si articolano in una serie di prescrizioni negative seguite da indicazione di buon comportamento da seguire:
- Evitare di distruggere la vita, ed essere interessato a sostenere e proteggere gli altri.
- Evitare di prendere ciò che non è stato dato e non violare il diritto alla proprietà privata altrui.
- Evitare la cattiva condotta sessuale, rispettando gli impegni verso l’altro partner e non facendo violenza ai più deboli.
- Evitare la menzogna, non dicendo consapevolmente una bugia per ottenere un vantaggio qualsiasi.
- Evitare di parlare malevolmente e sostenere invece dei discorsi che creino armonia.
- Evitare un linguaggio duro ed usare solo parole gentili, amabili, cortesi, care e gradevoli.
- Evitare di parlare in modo frivolo e parlare al momento giusto, in conformità coi fatti, con pensieri utili, moderati e pieni di senso.
- Evitare l’avarizia e provare piacere nel donare.
- Essere libero dalla cattiva volontà, pensando: «Lascia tutti gli esseri liberi dall’odio e dalla malevolenza, e che ognuno possa condurre una vita felice, libera da problemi».
- Adottare la giusta visione, che si traduce sul piano dell’azione nel dare e nell’offrire, atti che non sono infruttuosi; le azioni buone e cattive avranno la loro retribuzione.
Qui vediamo come le regole del Budda siano fondate sul rispetto di diritti fondamentali, quale il diritto alla vita o il diritto alla proprietà privata. In pratica, sembra che, una volta che questi principi siano seguiti, i diritti dell’individuo nella società siano garantiti sotto ogni aspetto. Il linguaggio usato dal Budda era persuasivo e non autoritario. I dieci principi morali erano proposti come suggerimento, non come comandamenti a cui i seguaci dovevano obbedire e su cui venivano giudicati.
Preoccupazione dei buddhísti è che il rispetto del diritto alla vita sia esteso a tutto il regno animale, e non sia limitato soltanto al genere umano. Grande attenzione viene posta sulla parola su cui si insiste per quattro volte, segno dell’importanza ad essa connessa come veicolo di comunicazione capace di unire e creare armonia come di distruggere, separare, ferire. L’attenzione alla parola è l’attenzione che poniamo al nostro pensiero, la capacità di padroneggiare le nostre emozioni distruttive, e di controllarle, praticando continuamente consapevolezza, compassione ed empatia ovvero rispetto confidente.
Il buddhismo come tutte le antiche religioni si è evoluto attraverso un lungo e complicato percorso. Dall’India in cui è sorto, ha presto conquistato un’immensa area di diffusione – possiamo ormai dire tutto il mondo – viaggiando lungo le grandi vie carovaniere dell’Asia. Certamente nei monaci viandanti era presente una spinta missionaria e in seguito possiamo vedere nel clero buddhista una notevole capacità di legarsi alle tradizioni preesistenti ed entrare in un rapporto di osmosi con esse, inserendosi pienamente nel sistema sociale e politico locale. La diffusione si basò fondamentalmente sull’attrattiva dell’esempio, della capacità di gestione della sofferenza, dell’attenzione e del rispetto, piuttosto che su uno spirito missionario aggressivo e organizzato. Nei paesi in cui si è stabilito, il buddhismo nel tempo ha trovato l’appoggio politico ed economico dei regnanti, delle classi dirigenti e della popolazione, diventando una componente determinante in alcune società capace di convivere come in Cina con le precedenti esperienze religiose forti o di sopravanzarle fino a costituire nella teocrazia tibetana la stessa espressione politica di un territorio.
Miti, storie o racconti tramandati nel tempo e nei luoghi di diffusione non erano sempre l’insegnamento originale del fondatore e, in alcuni casi, furono all’origine di imposizioni sociali. Alcune dichiarazioni furono, ovviamente, inserite dalle autorità religiose in epoche posteriori per servire agli scopi delle generazioni successive. Con il trascorrere del tempo, man mano che una religione si stabilizza e viene considerata come un’istituzione propria della società, assume talora una funzione di identificazione etnica o nazionale, in quanto è seguita dalla maggioranza della popolazione e porta ad imporsi anche con azioni coercitive sui gruppi minoritari presenti sul territorio. Esempi ve ne sono stati anche in ambito buddhista fino ai nostri giorni , vedi la contrapposizione spesso violenta in Birmania tra buddhisti e gruppi di tradizione musulmana (Rohingya) o il lungo e complesso conflitto, da poco concluso, che nello Sri Lanka ha visto contrapporsi la maggioranza buddhista alla minoranza hindu Tamil in una guerra civile.
Anche ai tempi del Buddha c’erano dei sovrani che governavano ingiustamente i loro Stati. La gente era oppressa e sfruttata, torturata e perseguitata, erano imposte tasse eccessive ed inflitte crudeli punizioni. Il Buddha fu profondamente toccato da queste inumanità e volse la sua attenzione al problema del buon governo. Mostrò come un paese potesse diventare corrotto, degenerato e infelice quando i suoi capi, cioè il re, i ministri e i funzionari, fossero diventati corrotti e ingiusti. Perché un paese sia felice deve avere un governo giusto.
Un grande imperatore indiano del III sec. A. C. Ashoka Maurya, convertitosi al buddhismo dopo una lunga serie di guerre sanguinose, rappresenta emblematicamente questa figura di sovrano giusto e attento al popolo, pur nei limiti di un governo assoluto. Egli sostenne una politica di inclusione e accoglienza nel dialogo con tutte le etnie e le religioni presenti nel territorio governato. Nei vari angoli dell’impero lasciò editti e colonne commemorative con indicazioni per i futuri regnanti e per la popolazione. Uno di questi editti dice: “La fede di tutti i credenti deve essere rispettata. Onorandola si esalta la propria fede e nello stesso tempo si rende servizio alla fede dell’altro. Fate così figli e figli dei miei figli” XII editto su Roccia e può ancor oggi essere assunto come indicazione fondamentale per la pacifica convivenza nel segno del rispetto e della messa al bando della violenza di matrice religiosa o pseudo tale.
“Il dialogo si fa dialogando” ha detto Ramon Panikkar, figura emblematica di portatore di più culture e cultore del dialogo, e il rispetto dell’altro ne è la base fondamentale. Dialogo, ascolto, riconoscimento che i valori fondamentali di cui l’altro è portatore possono essere anche da noi compresi e condivisi nel senso del reciproco rispetto. La reciprocità è importante perché apre all’altro, non lo rinchiude in un pregiudizio che ne falsa la percezione e la comprensione. Lo sguardo interculturale scioglie le certezze, ma anche le paure, fa attraversare i confini, esplorare nuove realtà, vivere di frontiera, crea dinamiche nuove, rompe l’autoreferenzialità del soggetto e consente di esplorare nuove possibilità e nuove comunanze
Il Buddha propone un messaggio di non violenza e di pace, di amore e di compassione, di tolleranza e di comprensione; di dialogo e di saggezza, di rispetto e riguardo per ogni forma di vita, di libertà dall’egoismo, dall’odio e dalla violenza. In un testo molto amato e diffuso, il Dhammapada, egli dice: «L’odio non è mai stato placato dall’odio, ma è stato placato dalla gentilezza. Questa è una verità eterna». «Si deve vincere la collera con la gentilezza, la malvagità con la bontà, l’egoismo con il dono e la menzogna con la verità». «Il vincitore provoca l’odio e il vinto cade in miseria. Chi rinuncia sia alla vittoria che alla sconfitta è felice e in pace». La sola conquista che porti pace e felicità è la conquista di sé. «Si possono conquistare milioni (di uomini) nelle battaglie, ma chi conquista se stesso, solo un unico uomo, è il più grande dei conquistatori».
L’aspirazione del buddhismo è di creare una società che rinunci a tutte le rovinose lotte per il potere, in cui prevalgano la pace e la tranquillità sulle conquiste e sulle sconfitte; in cui le persecuzioni degli innocenti siano denunciate con veemenza; in cui chi conquista se stesso sia più rispettato di quelli che conquistano milioni di uomini con la guerra militare o economica; in cui l’odio sia vinto dall’amicizia e il male dalla bontà; in cui l’inimicizia, la malevolenza, la gelosia e l’avidità non avvelenino le menti degli uomini; in cui la compassione sia la forza motrice dell’azione; in cui tutti gli esseri, compresi i più insignificanti, siano trattati con giustizia, considerazione e amore; in cui la vita nella pace, nell’amicizia e nell’armonia, in un mondo dove regni il benessere materiale, sia diretta verso lo scopo più alto e nobile, il conseguimento della Verità Ultima.
UNESCO Chair in Bioethics and Human Rights : Roma
Convegno Dignitatis Humanae e libertà religiosa