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Dāna non vuol dire gratis

La Fondazione Maitreya non distribuisce tessere associative, ma pratica la politica antieconomica della libera offerta responsabile. È la tradizione del Dāna, in vigore in Oriente, che vogliamo continuare per mantenere pura la trasmissione del Dharma.

Dāna vuol dire che non abbiamo fini di lucro, perché il Dharma è troppo prezioso per avere un costo. I docenti non sono pagati. L’attività è sostenuta dalle donazioni liberali dei partecipanti. La donazione è il modo in cui chi fruisce dei nostri insegnamenti esprime la sua riconoscenza, dando un sostegno concreto alla prosecuzione dell’insegnamento.

Dāna vuol dire anche senza fini di proselitismo.  Non vogliamo convertire né arruolare alcuno nella chiesa buddhista e non vogliamo nemmeno conculcare alcun dogma.

Quando si dona, ci sono due beneficiari. Il secondo è il destinatario del dono, poiché lo riceve; ma il primo beneficiario del dono è chi lo fa. Donando si sdebita, raccoglie soddisfazione, riconoscenza e dāna pāramī, qualità indispensabile alla Realizzazione della Via.

Però bisogna comprendere che dāna non vuol dire gratis. Dāna vuol dire donazioni. Senza donazioni il Dharma non sarebbe arrivato fino a noi. I monaci e gli insegnanti laici da sempre si sostentano grazie alle libere offerte. Niente offerte, niente Sangha e quindi niente insegnamenti. Credo che questo vada amorevolmente spiegato a chi pretende che gli insegnamenti siano «gratis». Gli insegnanti di Dharma devono (o dovrebbero) praticare i retti mezzi di sostentamento. Il che non vuol dire che non debbano accettare compensi, ma solo che gli eventuali compensi non siano finalizzati all’arricchimento, né all’accumulo di denaro. Il codice etico (Vinaya) ci impone sobrietà e l’astinenza dal lusso e dalle eccessive comodità. Dāna, lo ripetiamo, non vuol dire gratis. Vuol dire non profit.