21 Apr Gli Stadi della Meditazione
di Geshe Gedun Tharchin
Tutti gli esseri umani hanno spontaneamente un buon cuore ma spesso lo usano male rovinandoloe intraprendendo un sentiero sbagliato che li porta ad una falsa destinazione.
Ci ritroviamo questa mattina per proseguire nella pratica del Dharma e in particolare studieremo gli stadi della meditazione di Kamalashila.
Siamo veramente fortunati avendo l’opportunità di intraprendere questo percorso perché, come dico spesso ai miei amici, seguire un sentiero di Dharma è incamminarsi in una via di pace che può portare solo benefici, nulla di male può accadere, questo è il grande significato del Dharma.
Il Dharma è buono all’inizio, è buono nel mezzo ed è buono alla fine.
La pratica del Dharma è mantenere il buon cuore. Nel mondo, nella vita di tutti i giorni, siamo travolti da un’infinità di distrazioni che non ci permettono di mantenere la pace mentale. Con la perdita della pace, della tranquillità, ci allontaniamo dal Dharma per entrare in una situazione non felice e, nella sofferenza, non abbiamo più alcuna possibilità di aiutare gli altri, di dar loro la felicità.
Rimanere nello stato di tranquillità e pace è la condizione fondamentale che ci permette di trasmettere tale benessere agli altri in modo naturale, senza clamore, senza una inutile e sciocca pubblicità. Il dono della pace e della felicità dovrebbe avvenire in segreto, senza chiasso e, se si avverte il bisogno di renderlo pubblico, significa che c’è qualcosa di sbagliato. Un proverbio tibetano dice: “Se c’è un pezzo di oro sepolto nella terra la sua presenza sarà indicata nel cielo”; supponiamo che ci sia una miniera d’oro nelle profondità della terra, la sua esistenza sarà segnalata nel cielo.
Se avete dentro di voi la bodhicitta, la compassione, la grande compassione, essi saranno percepiti con naturalezza e saranno di grande beneficio agli altri, voi non ve ne dovete minimamente preoccupare, il vostro aiuto scaturisce spontaneamente, senza bisogno di pubblicità.
Si ricorre alla pubblicità quando qualcosa non va e si vuole manipolare la verità. Anche la pubblicità televisiva tende a confondere e ingannare, non ha certo l’obiettivo di fornire giuste informazioni.
Per essere di beneficio agli altri occorre mantenere la propria pace mentale, tranquillità e felicità. La società insiste spesso sulla generosità, ma in modo non corretto.
Tutti gli esseri umani hanno spontaneamente il fondamento del buon cuore però, a causa di fraintendimenti, lo usano male rovinandolo, intraprendono un sentiero sbagliato che li porta ad una destinazione sbagliata.
Noi tutti desideriamo fare il bene e questa è la fonte della nostra felicità e delle nostre qualità; una spiegazione più approfondita la si ricerca nelle caratteristiche della mente e a questo punto il concetto si complica:
Cos’è la mente? Come funziona? Come catturare la mente?
Affrontiamo il tema più complesso del buddhismo, la meditazione e le qualità umane sono connesse alla mente e, quando ci addentriamo in essa con comprensione profonda, sorgono le difficoltà, perché la qualità di base dell’umanità esiste nascosta nella mente, è come un tesoro e la meditazione è lo strumento necessario alla sua scoperta.
La meditazione non è semplicemente un approccio intellettuale, non si possono comprendere o afferrare le caratteristiche della mente attraverso lo studio o la ricerca intellettuale, per raggiungere questa realizzazione è necessaria la meditazione.
E’ un compito difficile perché si tratta di capire cosa andiamo a scoprire e quale strumento utilizzare per scoprirlo. Se voi seguite un approccio intellettuale nell’osservazione e nell’analisi del fenomeno dovete sempre riferirvi ad un soggetto e ad un oggetto, mentre nella meditazione ciò che scopriremo è qualcosa di nascosto in noi, le qualità umane di base, il prezioso tesoro custodito segretamente.
Nell’approccio meditativo non esistono due componenti diverse, il soggetto da scoprire e l’oggetto strumento con cui effettuare tale scoperta, perché si va al di là, oltre l’analisi scientifica.
Come ho detto ieri il destino futuro degli scienziati è quello di diventare buoni meditatori, solo così potranno pervenire a scoperte realmente soddisfacenti. La ricerca scientifica oggi è basata sull’uso di strumenti come il microscopio, il telescopio e altri ancor più sofisticati, ma sarà sempre limitata e insufficiente, perché non potrà mai raggiungere la comprensione della realtà ultima di questa esistenza. La realtà ultima dei fenomeni può essere scoperta solo attraverso la meditazione e finché non la si troverà non si potrà mai essere appagati.
Attraverso l’approccio meditativo, l’umanità del XXI° secolo potrà essere composta da meditatori civilizzati.
Non mi stancherò mai di ripetere che ciò che facciamo oggi non deve essere la fotocopia dei meditatori del passato, sarebbe un grave errore.
Nel passato San Francesco, Milarepa, erano liberi di trovare ovunque un luogo isolato in cui meditare senza essere disturbati, ma per voi questo non sarebbe possibile, vi arresterebbero immediatamente o vi porterebbero in ospedale psichiatrico. Oggi dovete imparare a meditare anche con la tecnologia più avanzata, solo così potrete realmente diventare dei Buddha del XXI° secolo.
Spesso penso a come sarebbero Buddha o Gesù oggi, se vivessero in quest’epoca, forse assomiglierebbero a Gandhi. Gandhi utilizzava le tecnologie del suo tempo, era molto istruito e, allo stesso tempo, un grande meditatore. Così deve essere un Buddha del XXI° secolo.
Einstein affermò che il buddhismo sarebbe stata l’unica espressione religiosa possibile nel XXI° secolo, certamente quella era la sua opinione, determinata proprio dalle conoscenze scientifiche che lo inducevano a intravedere un possibile contatto futuro tra scienza e buddhismo, unica espressione religiosa in grado di permettere tale unione.
Raccomando sempre ai miei amici di Roma di non considerare il gruppo di meditazione buddhista come un master di psicoterapeuti. Con la meditazione ci si apre all’apprendimento, si diventa persone civilizzate, prive di limitazioni mentali.
La meditazione sostiene l’integrazione del mondo esteriore con quello interiore, favorisce la coesistenza e l’armonizzazione dell’aspetto materiale con quello spirituale.
La meditazione e la pratica del Dharma non entrano in conflitto con nulla, sono pace assoluta, armonia, tranquillità, così si dice nel “Mahamudra”.
Il Mahamudra rappresenta una natura che copre tutto e i cui fenomeni non hanno in sé nessun conflitto, è la realtà ultima e unica di tutti i fenomeni.
Creare armonia, cooperazione, mettere insieme, non vuol dire unire semplicemente due cose completamente separate, ma è creare le condizioni alla loro unione e integrazione nell’osservazione del significato comune dei fenomeni.
Dal punto di vista del Mahamudra, Samsara e Nirvana sono uguali, non ci sono nemici o amici, non c’è né negativo né positivo, esiste solo l’equanimità.
Letteralmente “Mahamudra” è stato tradotto non correttamente con “Grande Sigillo”, come se si trattasse di un timbro, invece significa la “Grande Posizione”, cioè il modo di essere. Nella pratica di determinati rituali tibetani si muovono le mani con gesti particolari che sono i “mudra” e ogni gesto indica un modo di essere, una determinata visualizzazione.
Imparare ad usare i mudra è nel buddhismo tibetano molto complicato perché ogni pratica di Sadhana, che corrisponde alle divinità, ha diversi mudra relativi ad altrettante visualizzazioni in cui si rappresentano le tre caratteristiche: il potere della concentrazione, il potere del mantra e il potere del gesto.
Nella visualizzazione di una divinità è utile usare il potere della concentrazione, utilizzare un determinato mantra, e rappresentarla con un gesto particolare, il mudra.
Il Mahamudra è dunque il grande gesto che dimostra il modo equanime di essere presente in tutti i fenomeni.
La pratica del Dharma, la meditazione, porta a questa profonda realizzazione, non è psicoterapia.
E’ necessario smuovere la mente attraverso queste osservazioni così da far emergere l’essenza dei pensieri; come se dovessimo produrre del burro scuotendo a lungo la panna, a prima vista sembrerebbe che la stiamo rovinando, invece ne risulterà un ottimo burro, questa è la meditazione analitica.
Qualcuno potrebbe pensare: “lui sta parlando, noi stiamo ascoltando, non è meditazione”, perché se ne ha una visione distorta, convinti che sia sufficiente sedersi, farsi cullare da una musichetta, accendere l’incenso e rilassarsi, ma a me sembra che questa sia ginnastica, non meditazione, è una “palestrizzazione” della meditazione.
La meditazione analitica è invece fondamentale; quando parlo non riferisco qualcosa che ho preparato nella mente, ma vi trasmetto la mia analisi e voi che ascoltate, seguendo quell’analisi scoprirete qualcosa di essenziale perché attraverso la meditazione analitica raggiungerete comprensioni, conoscenza, realizzazioni del Dharma.
Abbiamo analizzato il significato della meditazione, la sua importanza e il senso della nostra presenza qui, così ricca di significato, che non termina con la conclusione dell’incontro, ma è qualcosa di valido e utile per tutti gli esseri senzienti. Voi potreste obiettare che nessuno sa quello che stiamo facendo ma, come ho detto prima, ciò non è importante, qualsiasi cosa si faccia per gli altri non necessita di pubblicità, anzi è tanto più potente quanto più occultato.
Ora vi state chiedendo come potete essere di aiuto agli altri standovene qui seduti a meditare, ma questo dipende esclusivamente dall’intenzione, dalla motivazione e dalla dedica dei meriti accumulati. Quindi, quale motivazione si deve avere?
Se pensiamo: “ciò che io sto facendo qui è solo per me stesso per il mio beneficio”, tutte le attività saranno molto faticose e interminabili, invece, se consideriamo che tutto ciò che facciamo qui e ora è dedicato al beneficio degli altri, ogni attività diventerà piacevole e leggera.
Siamo insieme per praticare il Dharma, ma se volessimo ottenere solo un risultato personale, non lo trasformeremmo in vero Dharma, resterebbe un “non-Dharma”.
La pratica del Dharma non dipende da ciò che appare, dal tipo di attività, ma dall’intenzione che la determina.
La pratica del Dharma basata solo sull’apparenza e motivata dal proprio interesse è un’azione così negativa che crea un karma negativo, che nel cristianesimo corrisponde ad un peccato mortale.
Un peccato mortale che può essere attivato solo dai praticanti di Dharma, se non lo fossero ne sarebbero esenti, ciò significa che i praticanti di Dharma devono essere molto attenti e vigili nei confronti di questo reale pericolo. Ciò vale anche per me, quando mi accordo di perdere la consapevolezza è come se la pratica del Dharma fosse lì solo per sostenere il mio ego e il Dharma diventa un non-Dharma.
La pratica del Dharma è molto difficile da realizzare, non può essere trasformata in un sostegno all’ego, perché in tal caso si trasforma in pesantissimo fardello, ma, al contrario, deve essere un supporto per ridurre l’ego così da divenire costante arricchimento spirituale.
Il pericolo di una cattiva pratica può essere superato dalla comprensione profonda della radice del Dharma, la compassione, la grande compassione.
Quando c’è presenza di compassione e di grande compassione, allora c’è presenza di Dharma; quando c’è assenza di compassione e di grande compassione, allora c’è assenza di Dharma.
Avere la compassione, la grande compassione è come tenere tutto il Dharma nella propria mano. Ci sono domande?
Domanda: Io avrei una domanda, forse non tanto attinente e più collegata a quanto è stato detto circa l’uso della tecnologia. Ieri ho letto sulla Stampa il resoconto di una ricerca scientifica in cui si tendeva a dimostrare che il mondo vegetale è dotato di un’intelligenza propria, come se fosse popolato da esseri senzienti, però mi pare che nel buddhismo le piante non siano considerate tali, quindi questo apre una differente modalità di rapportarci con il Dharma, ad esempio i vegetariani che per non uccidere animali si nutrono di vegetali, in realtà uccidono ugualmente esseri senzienti. Nel buddhismo c’è qualche precisa indicazione in proposito?
Lama: Domanda interessante, è molto difficile distinguere tra esseri senzienti e non-senzienti a livello fisico, ma commettere karma negativo non dipende mai da una situazione oggettiva è sempre una realtà soggettiva, quindi non possiamo distinguere se un vegetale abbia una coscienza o meno, ma ciò non vuol dire che usare un vegetale possa creare karma negativo o positivo.
Ad esempio una pietra probabilmente non ha coscienza, né sensibilità, ma anche attraverso l’uso di quella pietra si può creare karma negativo o positivo. In base agli insegnamenti del Buddha se tu tagli una pianta perché spinto dalla rabbia crei un karma negativo.
In Tibet si racconta di un meditatore che praticava in una grotta il cui ingresso era parzialmente ostruito da una pianta e ogni volta che lui doveva uscire od entrare era colpito dai suoi rami, tanto che un giorno, in un impeto di rabbia, la tagliò e questo gesto ha creato un karma negativo.
Avere karma positivo è nutrire rispetto verso tutta la natura. Il rispetto è una caratteristica della nostra mente e non dipende da come cataloghiamo gli oggetti perché sul piano puramente teorico è difficile dividere nettamente ciò che può essere considerato essere senziente e cosa no.
La pratica del Dharma suggerisce di avere rispetto per tutto ciò che esiste, sia considerato senziente o non-senziente, è un atteggiamento mentale che definisce in modo chiaro e certo come si può creare il karma negativo o positivo, anche se a livello del mondo fisico non è affatto chiara la distinzione tra esseri senzienti e non-senzienti. Tutte le relazioni con esseri senzienti o non-senzienti dipendono sempre dall’atteggiamento mentale, dalla compassione.
Anche l’azione di spostare una tazza da un posto all’altro dovrebbe essere fatta con compassione, eppure sicuramente la tazza non è un essere senziente. Il Bodhisattvacaryavatara consigliava di aprire la porta delicatamente, con compassione, senza alcuna distinzione tra cose, esseri senzienti o non senzienti, nella Mahamudra non c’è alcuna distinzione, esiste un unico modo di comportamento.
Domanda: Si possono considerare karma negativo gli eventuali errori nella pratica?
Lama: Anche gli errori possono essere fatti con compassione, dipende dal tuo atteggiamento che è suddiviso su due livelli, quello della causa e quello del risultato.
L’atteggiamento mentale a livello della causa è, per esempio, che tu sia venuto sin qui, da Milano, per questo ritiro, è la tua motivazione.
L’atteggiamento che hai avuto invece quando sei arrivato qui è a livello di risultato, perché se tu avessi pensato: “questo posto è così freddo, così isolato, non sarei dovuto venire, il maestro è molto chiacchierone, parla sempre e non meditiamo,” il tuo atteggiamento sarebbe cambiato rispetto a quello iniziale.
Il livello iniziale, della causa, è il principale e tu l’hai mantenuto con la forza della decisione presa, anche se ora a livello di risultato non ti sembra più così positivo e potresti considerare l’essere venuto qui un errore legato alla tua pratica; in realtà questo eventuale errore ha come causa un atteggiamento positivo in grado di trasformare in buon karma anche un risultato apparentemente negativo.
E’ sempre necessario distinguere tra i due livelli, quello di causa, che è fondamentale, e quello del risultato, che è secondario. Se invece la motivazione fondamentale, la causa, fosse stata sin dall’inizio sbagliata allora la situazione sarebbe più difficile.
Domanda: Da un punto di vista mentale, realizzare la vacuità o raggiungere l’illuminazione sono la stessa cosa?
Lama: La realizzazione della vacuità non è la piena illuminazione. La realizzazione della vacuità è un mezzo per raggiungere l’illuminazione. E’ un concetto piuttosto complesso.