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Canone – Ciò che si ama

vesak a roma 2Ciò che si ama

Se ci attacchiamo ciecamente a ciò  che amiamo inevitabilmente soffriremo.

Ad un padre muore il figlioletto e, disperato, si rivolge al Buddha il quale osserva che tale disperazione è naturale per una tale disgrazia, ed osserva che anche l’amore è fonte di dolore. Quest’ultima osservazione non piace al padre che, indignato, si rivolge a dei giocatori di dadi per sfogare la propria amarezza, ed essi condividono il suo parere: ciò che si ama può essere solo fonte di gioia, non il contrario. Venuto a conoscenza di questo dissidio, il mahâ-râjâ  Pasenadi prende in giro la moglie per la sua credulità nei confronti dell’insegnamento del Buddha l’asceta, ma la regina Mallikâ riesce a convincerlo che il Buddha non ha parlato a sproposito: se siamo attaccati all’oggetto che amiamo e non ne comprendiamo la sua impermanenza non possiamo sfuggire al dolore della perdita.  Il testo Piyajatika Sutta è tratto dalla raccolta dei Discorsi di media lunghezza, n. 87.

Questo ho sentito.

Una volta il Sublime dimorava presso Sâvatthî, nella Selva del Vincitore, nel parco di Anâthapindika. Quella volta però ad un certo padre di famiglia era morto l’unico, amato, adorato figlioletto. Per tale morte egli non pensava più al lavoro né al cibo; girando sempre per il cimitero, egli gemeva: “Dove sei tu, piccino mio; dove sei?”

Quel padre di famiglia si trovò ad andare là dove stava il Sublime: là giunto, lo salutò riverentemente e si sedette accanto. Al padre di famiglia che gli sedeva accanto, il Sublime disse: “Non mi sembri di animo tranquillo: vi è un turbamento delle tue facoltà.”

“E come, Signore, non potrebbe essere diversamente? Mi è morto l’unico adorato figlioletto! Dalla sua morte non penso più al lavoro, né al cibo: giro sempre per il cimitero lagnandomi dell’accaduto.”

“Così è, padre di famiglia! Ciò che si ama dà affanno, tormento, dolore, tristezza e disperazione.”

“E a chi mai, Signore, viene in mente questo: che affanno, dolore e disperazione vengono dall’amore? Ciò che si ama dà gioia e soddisfazione!”

Quindi ora quel padre di famiglia, riprovando e biasimando le parole del Sublime, si alzò dal suo posto e se ne andò. Proprio allora, non molto lontano dal Sublime s’erano riuniti per giocare, molti giocatori di dadi. E quel padre si diresse verso di loro e raccontò ciò che gli aveva detto il Sublime. E i giocatori: “Così è, padre di famiglia! Ciò che si ama, padre di famiglia, dà gioia e soddisfazione.”

Allora il padre, sentendosi d’accordo con i giocatori, se ne andò. Ma questa discussione, diffondendosi a poco a poco, pervenne alla corte del re Pasenadi del Mahâjanpad di Kosala che così si rivolse alla regina Mallikâ: “Senti che dice il tuo asceta Gotama: ciò che si ama dà affanno, tormento, dolore, tristezza e disperazione!”

“Se il Sublime, gran re, ha detto così, è così!”

“Sempre così dunque questa Mallikâ; qualunque cosa dica l’asceta Gotama, subito ella lo approva: ‘Se il Sublime ha detto così, è così!’ Così come qualunque cosa un maestro dica al discepolo, subito il discepolo l’approva: ‘Così è, maestro; così è!’ Così fai tu, Mallikâ: qualunque cosa dica l’asceta Gotama, tu l’approvi; lascia perdere, Mallikâ, falla finita!’ ”

Allora la regina Mallikâ si rivolse al brâhmano Nâlijangha: “Vai tu, brâhmano, dove si trova il Sublime, inchinati da parte mia ai suoi piedi ed auguragli salute, prosperità, vigore, forza e benessere, e digli: ‘È stato detto questo dal Sublime: Ciò che si ama dà affanno, tormento, dolore, tristezza e disperazione?’ E come il Sublime ti risponde, ben intendendo, mi riferirai. Perché i Compiuti non parlano a vuoto!”

E il brâhmano Nâlijangha fece come gli era stato ordinato, ed il Sublime gli rispose: “Così è, brâhmano; così è! Però si deve secondo i casi intendere come ciò accade. Una volta proprio qui in Sâvatthî, ad una donna era morta la madre. Ella, resa per quella morte demente e folle, girando per le strade e le piazze gridava: ‘Avete visto mia madre, l’avete vista?’

Un’altra volta ad una donna era morto il padre – il fratello – la sorella – il figlio – la figlia – il marito. Ella, resa per quella morte demente e folle, girando per le strade e le piazze gridava: ‘Avete visto. mio marito?’

Ad un certo uomo era morta la madre – il padre – il fratello – la sorella – il figlio – la figlia – la moglie. Ed egli reagì proprio come quella donna.

Una volta, brâhmano, proprio qui a Sâvatthî, una certa donna si trovava nella casa dei suoi parenti che, strappandola al suo sposo, desideravano darla ad un altro; ma lei non voleva. Allora la donna raccontò tutto allo sposo. Questi, pensando: ‘Morti saremo uniti!’, ammazzò la moglie e si uccise.

Perciò si deve intendere secondo i casi che ciò che si ama dà affanno, tormento, dolore, tristezza e disperazione.”

Nâlijangha il brâhmano, approvando e lodando le parole del Sublime, ritornò dalla regina Mallikâ e le riferì l’intera conversazione. Dopo di che la regina si recò presso il re Pasenadi e gli disse: “Tu che pensi, gran re: è amata da te tua figlia Vajîrî?”

“Certo, Mallikâ!”

“Se capitasse una disgrazia a tua figlia, non proveresti affanno, tormento, dolore, tristezza e disperazione?”

“Se le capitasse una disgrazia, ne andrebbe della mia vita: come potrei non provare affanno, tormento, dolore, tristezza e disperazione?”

“Proprio riferendosi a questo il Sublime, il perfetto Svegliato, ha detto: ‘Ciò che si ama dà affanno, dolore e disperazione’. Gran re, tu ami la principessa Vâsabhâ?”

“Certamente!”

“Se le capitasse una disgrazia, non proveresti affanno, dolore e  disperazione?”

“Se le capitasse una disgrazia, ne andrebbe della mia vita: come potrei non provare affanno, tormento, dolore, tristezza e disperazione?”

“Tu vuoi bene a Vidûdabho, il capo dell’esercito?”

“Sì, Mallikâ!”

“E se gli capitasse una disgrazia non proveresti affanno, dolore e disperazione?”

“Certo! Come potrei non provare quei sentimenti?”

“Ed io ti sono cara?”

“Sì, Mallikâ! Mi sei cara.”

“E se capitasse a me una disgrazia?”

“Ne andrebbe della mia vita: come potrebbe essere altrimenti?”

“E ti è caro il tuo regno di Kâsi-Kosalo?”

“Sì, Mallikâ, mi è caro. Per la sua ricchezza si può godere di seta e sandalo, di fiori, di essenze e profumi.”

“Se al tuo regno avvenisse un accidente, non proveresti affanno, dolore e disperazione?”

“Naturalmente!”

“Proprio riferendosi a tutte queste cose il Sublime ha fatto quella affermazione.”

“È mirabile, Mallikâ, è stupendo come il Sublime, penetrando tutto con perfetta conoscenza, discerne tutto! Suvvia, Mallikâ, esulta!”

E il re Pasenadi di Kosalo, alzandosi dal suo seggio, denudandosi una spalla e giungendo le mani nella direzione del Sublime, ripeté tre volte il saluto:

“Venerazione al Sublime, al santo, perfetto Svegliato: Venerazione al Sublime, al santo, perfetto Svegliato: Venerazione al Sublime, al santo, perfetto Svegliato!”

Riscrittura a partire dall’italiano di De Lorenzo, da Pier Antonio Morniroli ed Enrico Federici.

www.canonepali.net