21 Apr Abbandonare il negativo
Se conosciamo quali sono le abitudini negative, non possiamo far altro che evitare di seguirle.
Molte nostre abitudini si traducono in comportamenti negativi che ci procurano ulteriore difficoltà e sofferenze. Una volta che abbiamo riconosciuto e compreso la loro negatività, dice il Buddha in questo sutra, tratto dall’antico testo Itivuttaka sez. I – Canone buddistico, testi brevi, a cura di Vicenzo Talamo, Bollati Boringhieri, Milano 2000 – non possiamo perseverare nel negativo e quindi è naturale abbandonare simili comportamenti.
Riconoscere il negativo è il primo passo che porta al suo superamento. La non conoscenza è il male maggiore, il non riconoscere le qualità delle azioni non ci permette di compiere la scelta. Solo colui che sa, può scegliere ma a quel punto non ha che una sola opportunità: agire per il bene. Questa è l’unica scelta possibile per il saggio.
- Questo ho sentito dire dal Sublime, dal Santo: io dico, o bhikkhu, che nessuna cattiva azione è impossibile a compiersi dall’uomo che ha abbandonato un’abitudine. Quale abitudine? Precisamente, o bhikkhu, l’affermare scientemente il falso.
Questa massima ha enunciato il Sublime, e per questo così vien detto:
Per l’uomo che ha abbandonato un’abitudine: l’affermare il falso
tenendo in non cale il mondo di là,
non v’è alcun male impossibile a compiersi.
Questa massima ho sentito enunciare dal Sublime.
- Questo ho sentito dire dal Sublime, dal Santo: se gli uomini conoscessero, o bhikkhu, così come io lo conosco, il frutto del donare generosamente, essi non godrebbero nel non dare né la macchia dell’avarizia prenderebbe possesso del loro animo. E non sarebbero contenti se non dopo aver fatto parte, a chi l’accettasse, perfino dell’ultimo boccone, dell’ultimo avanzo.
Appunto perché, o bhikkhu, gli uomini non conoscono, così come io lo conosco, il frutto del donare generosamente, per questa ragione essi godono nel non dare e la macchia dell’avarizia prende possesso del loro animo. Questa massima ha enunciato il Sublime, e per questo così vien detto:
Se gli uomini sapessero,
com’è stato detto dal grande saggio, quale grande frutto apporta
la generosità nel donare,
rimuovendo la macchia dell’avarizia, purificandone l’animo,
elargirebbero a tempo giusto fra gli ariya, poiché un gran frutto proviene dal donare.
Avendo elargito abbondante cibo in elemosina
a coloro che ne sono meritevoli, al termine dell’umana esistenza
i donatori vanno in mondo celeste.
E quelli che vanno in mondo celeste
godono colà dell’appagamento dei loro desideri;
non essendo stati avari,
godono il frutto della loro generosità.
Questa massima ho sentito enunciare dal Sublime.
27. Questo ho sentito dire dal Sublime, dal Santo: quali che siano, o bhikkhu, le azioni profittevoli condizionanti rinascita, esse non valgono però tutte insieme la sedicesima parte dell’amore e della compassione; amore e compassione, in verità, quelle superando, brillano, rifulgono, risplendono.
Proprio come, o bhikkhu, la luce di qualsivoglia stella non vale neanche la sedicesima parte di quella della luna, poiché la luce della luna, quella superando, brilla, rifulge, risplende, proprio così, o bhikkhu, quali che siano le azioni profittevoli condizionanti rinascita, esse non valgono tutte insieme la sedicesima parte dell’amore e della compassione; benevolenza ed emancipazione dell’animo infatti, quelle superando, brillano, rifulgono, risplendono. Proprio come, o bhikkhu, nell’ultimo mese delle piogge autunnali, dissolvendosi le nubi nel cielo che si rasserena, il sole, superando la nebbia, disperdendo la foschia in ogni regione del cielo, brilla, rifulge, risplende; proprio così, o bhikkhù, quali che siano le azioni profittevoli condizionanti rinascita, esse non valgono tutte insieme la sedicesima parte dell’amore e della compassione; amore e compassione infatti, quelle superando, brillano, rifulgono, risplendono. Proprio come, o bhikkhu, di notte verso l’alba la stella del mattino brilla, rifulge, risplende, proprio così, o bhikkhu, quali che siano le azioni profittevoli condizionanti rinascita, esse non valgono tutte insieme la sedicesima parte dell’amore e della compassione; amore e compassione infatti, quelle superando, brillano, rifulgono, risplendono.
Questa massima ha enunciato il Sublime, e per questo così vien detto:
A chi intento coltiva illimitato amore,
realizzando la distruzione delle basi della rinascita
sono tenui i legami.
E se colui il quale con animo puro
Dimostra amore per un solo essere vivente acquista perciò del profitto,
un più grande profitto acquista l’ariya compassionevole verso tutti i viventi.
Quei saggi sovrani i quali,
conquistati popolosi territori,
andarono in giro offrendo sacrifici
(sacrificio del cavallo, sacrifici umani,
sacrifici con la lancia, sacrifici di soma
dai copiosi risultati),
non ottennero la sedicesima parte di ciò che ottiene colui
che ha l’animo intonato all’amore
(come lo splendore della luna supera
quello di tutte le stelle insieme).
Colui che non uccide e non fa uccidere, che non opprime e non fa opprimere,
è amichevole verso tutti i viventi ed a lui nessuno è ostile.
Questa massima ho sentito enunciare dal Sublime.
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